Cloud Sovereignty Framework: la sovranità digitale secondo l’UE

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Negli ultimi anni, la sovranità digitale è diventata una priorità strategica per l’Unione Europea. In un mondo dominato dalle Big Tech statunitensi, il controllo sui dati e sulle infrastrutture digitali è percepito come una questione di sicurezza nazionale, competitività economica e tutela della privacy. Ma cosa significa davvero “sovranità digitale” e quali sono le sfide per realizzarla?

Il Cloud Sovereignty Framework: gli 8 obiettivi UE

Per dare concretezza al concetto, la Commissione Europea ha introdotto il Cloud Sovereignty Framework, un sistema di valutazione che definisce 8 obiettivi chiave:

  1. Governance e controllo strategico – Decisioni e gestione sotto giurisdizione UE.
  2. Aspetti legali – Applicazione esclusiva delle leggi europee, senza interferenze extra-UE.
  3. Protezione dei dati – Sicurezza contro accessi non autorizzati e controllo delle chiavi crittografiche.
  4. Autonomia tecnologica – Capacità di migrazione e gestione senza lock-in.
  5. Operatività e resilienza – Continuità dei servizi anche in scenari di crisi geopolitica.
  6. Catena di fornitura – Origine europea di componenti critici (hardware, software, know-how).
  7. Sicurezza e conformità – Auditabilità e rispetto di normative come NIS2 e DORA.
  8. Sostenibilità ambientale – Coerenza con gli obiettivi green e digitali UE.

Il Sovereignty Score: una metrica per la fiducia

Il framework introduce il Sovereignty Score, una scala che va da livello 0 (assenza di requisiti) a SEAL-4 (massima conformità). Come funziona?

  • Livello 0: Cloud standard, nessuna garanzia di sovranità.
  • SEAL-4: Piena conformità agli 8 obiettivi, con governance e infrastrutture interamente europee.

Questa metrica serve a guidare le PA e le aziende nella scelta dei fornitori, ma solleva interrogativi: quanti provider possono realisticamente raggiungere SEAL-4 senza Big Tech?

Peccato che…

Uno dei principali ostacoli alla sovranità digitale è il Cloud Act statunitense, che consente alle autorità USA di accedere ai dati gestiti da aziende americane, anche se ospitati in Europa. Questo perché, ad esempio, un data center in Germania, se gestito da Microsoft o Amazon, potrebbe essere soggetto a richieste legali USA. Si parla infatti di conflitto normativo: questo si scontra con il GDPR e con le ambizioni europee di autonomia, che richiedono infrastrutture e servizi sotto pieno controllo UE.

Per questa ragione, sicurezza e innovazione sono al centro del dilemma: da una parte, la sovranità digitale è vista come un baluardo contro le interferenze esterne, soprattutto dovute a contesti geopolitici non in linea; dall’altra, la creazione di infrastrutture sovrane rischia di rallentare l’adozione di tecnologie avanzate e di escludere i principali attori del mercato, anche per una questione di vantaggio. Creare infrastrutture sovrane è costoso e rischia di rallentare l’adozione di tecnologie avanzate. Non a caso, alcuni dei provider citati si sono fatti furbi e hanno messo a disposizione dei modelli ibridi, come Microsoft Sovereign Cloud, che permette di mantenere i dati in Europa ma con servizi gestiti da Big Tech, oppure il Polo Strategico Nazionale italiano, che combinano infrastrutture locali con tecnologie globali.

Conclusioni

La sovranità digitale non è solo un tema tecnico, ma una sfida geopolitica ed economica. L’Europa dovrà trovare un equilibrio tra autonomia e apertura, evitando che la ricerca di sicurezza diventi un ostacolo alla competitività. Bisogna infatti comprendere quanto sia realistico creare un cloud completamente sovrano, senza dipendere da tecnologie e competenze esterne, considerato che nella corsa all’innovazione, la velocità è spesso più importante del controllo assoluto.

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