Voglio diventare un... Project Manager

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  • 2022-04-05 - 7 minuti
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Essere PM richiede delle doti tecniche, ma anche alcune innate, come l’empatia, l’ascolto, la mediazione, e molto altro.

Si tratta infatti di una figura chiave in un’impresa che deve conciliare e facilitare la comunicazione tra il gruppo di sviluppo di una soluzione e fare al contempo gli interessi del progetto e del cliente: i suoi interessi sono ovviamente rivolti al business, ma attuando sempre come un leader.

E quindi come diventare un ottimo Project Manager?

Ce lo racconta Riccardo Ricciotti, che nella sua esperienza di “esperienze” ne ha maturate davvero moltissime; attualmente è Senior Project Manager presso la Tecnet Systems srl., ma il suo essere poliedrico e le sue capacità di comunicazione lo hanno reso un eccellente professionista.

Descriviti in 100 parole.

Sono un “ragazzo” di 48 anni, curioso e orientato al cambiamento; penso che la vita offra continue opportunità di crescita e che occorra rimanere “sintonizzati” sulle frequenze della propria esistenza per evolvere e migliorarsi.

Amo la musica e le arti in genere, la fotografia, le scienze e l’ecologia intesa come lo studio della nostra “casa”, mi stupisco davanti a un paesaggio e allo spettacolo della natura, mi deprime l’indifferenza delle persone e il cinismo antropocentrico dell’essere umano.

Avrei voluto fare il medico, ma faccio il PM…non è la stessa cosa ma mi reputo comunque fortunato.

In cosa consiste il ruolo di Project Manager?

“Gestire” un progetto, il che vuol dire essere sempre in prima linea.

Consideriamo la complessità di un progetto, una Babele in cui tutti gli attori coinvolti (e spesso sono davvero molti) parlino lingue diverse e abbiano esigenze e priorità diverse; in un sistema di questo tipo le variabili tendono a moltiplicarsi esponenzialmente fino a “seppellire” gli obiettivi stessi del progetto.

Il PM, in quanto responsabile di tali obiettivi, è dunque il “centro di equilibrio” intorno al quale si sviluppano (e sul quale talvolta collidono) le dinamiche di progetto.

Nella pratica, il PM “armonizza” il disordine intrinseco al progetto organizzandone in modo sostenibile le attività, condividendone avanzamenti e risultati e indirizzando la risoluzione dei conflitti e delle crisi che, inevitabilmente, in qualsiasi contesto umano tendono a verificarsi…un lavoro da masochisti!

Qual è la soft skill più importante che deve possedere un Project Manager?

Empatia e capacità comunicativa.

Il Project Manager vive di comunicazione; deve dunque saper essere chiaro nel trasferire informazioni e cauto nella scelta delle informazioni da trasferire.

Empatico, perché alla base del successo di un progetto c’è senza dubbio l’efficace interazione fra stakeholders e in particolar modo fra il PM e gli altri attori coinvolti nell’impresa (ebbene sì…un progetto, non a caso, si definisce “impresa”).

Riconoscere l’esigenza specifica di un membro del team o coinvolgere attivamente nelle decisioni un collaboratore capace ma insicuro e poco abituato a esprimersi, può certamente fare la differenza.

La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.

Ho appena affermato l’importanza dell’empatia nel mio lavoro… io ho fallito quando non sono stato empatico, quando ho messo al centro le mie opinioni, quando non ho percepito l’importanza che un mio stakeholder stava dando a un aspetto del progetto che io consideravo secondario.

Perchè nel lavoro, come nella vita, nulla è assoluto; così mi sono trovato a consegnare un progetto che piaceva a me ma non produceva valore per il mio Cliente; il risultato è stato poi recuperato, la fiducia no.

Ho poi imparato, prima di tutto, a pormi in ascolto…

Come fare per diventare un Project Manager?

Il percorso per diventare PM parte da lontano e, sebbene la teoria indichi come non necessaria una competenza specifica sull’ambito del progetto, trovo che essersi “sporcati le mani” sulle attività più tecniche e operative rappresenti un plus importante per un PM.

Sia ben chiaro, il Project Management è una materia vera e propria, non ci si improvvisa PM e non basta aver partecipato a molti progetti per poterne condurre uno!

Consiglio sempre di affacciarsi a questo mondo facendo un corso, quantomeno per apprenderne le basi e i processi principali.

Parliamo intanto di metodologia Waterfall (che, per definizione, è il territorio del Project management): per iniziare è perfetta la certificazione emessa dall’istituto italiano di Project management, ISIPM base (che tra l’altro, ora stanno cominciando a richiedere anche per la partecipazione alle gare pubbliche).

Questa prevede gran parte delle tematiche dal PMI (Project Management Institute), ma senza il livello di complessità del PMP (che rimane la “bibbia” del Project Management).

Una declinazione interessante e molto completa della metodologia Waterfall è Prince2 (alias PRojects IN Controlled Environments).

Si tratta di una bella certificazione e anche piuttosto richiesta, ma la consiglierei a chi abbia maturato già qualche esperienza; esiste poi il mondo Agile e difatti adesso stanno nascendo certificazioni da PM Agili (Prince2 ne ha rilasciata una e anche ScrumStudy).

Io personalmente consiglio, a chi si voglia dedicare al mondo Agile, una certificazione da PO o anche da ScrumMaster… che non sono specifiche per i PM ma danno una visione profonda dei processi Agile.

In alternativa c’è la SAMC (Scrumstudy Agile Master certified), emessa da ScrumStudy e conferisce una competenza trasversale e piuttosto approfondita su tutte le metodologie Agili (Scrum, Kanban, Crystal, DSDM…etc) e non implica la specializzazione su un ruolo in particolare…

Mi sento comunque di dire che il Project Management applicato all’Agile è un po’ una forzatura, ma ci sono diverse strade che è possibile intraprendere!

Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?

Sicuramente continuerò a lavorare sui progetti, magari su progetti sempre più ambiziosi e sfidanti e in contesti altamente professionalizzanti.

Amo però anche lavorare con i giovani e sono un grande “fan” della formazione…

Non è escluso che nei prossimi anni possa coniugare il mio ruolo di PM con quello di formatore; avviare e gestire una piccola “academy” interna all’azienda, magari proprio su tematiche di Project Management, sarebbe molto gratificante.

Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, come fare per superarlo?

Conosco il tema e posso affermare, con piacere, di non essermici mai confrontato…anzi, per caso o per fortuna la maggior parte dei progetti ai quali ho partecipato includevano una prevalente componente femminile.

Certamente, anche nel nostro mondo ci sono professioni più ricercate dagli uomini e altre più ambite dalle donne, i motivi sono molteplici, ma non escludo che l’avvento dello Smart Working possa contribuire ad equilibrare le proporzioni.

Il tema della gestione del tempo, in un paese tradizionalista come l’Italia, è da sempre fattore discriminante, specialmente per le donne, nella scelta delle proprie carriere.

Quello che ho constatato da quando lavoro è che le donne percepiscono il tema della gestione del proprio tempo come prioritario se non addirittura “critico”.

Questa visione deriva dalla natura profondamente tradizionalista della nostra cultura (e forse anche un po’ arretrata) secondo cui è la donna ad essere principalmente deputata alla gestione della casa e della famiglia.

Questa regola “implicita” indirizza e condiziona le donne nel momento in cui si affacciano al mondo del lavoro o addirittura prima, nella scelta dell’indirizzo di studio in funzione del successivo percorso professionale.

Affrontare un percorso di studi STEM richiede sacrificio e le professioni a cui si può accedere con tale background formativo sono molto spesso faticose e di responsabilità, perchè si basano su competenze specifiche e “pregiate”.

Una donna che tutti i giorni, al risveglio, parte già con un backlog di attività da svolgere (i figli, la casa, la spesa ecc.) non può permettersi (o, almeno, spesso si pensa questo) di avere un lavoro troppo impegnativo e sul quale essere continuamente misurata, cosa che avviene, ad esempio, nel mondo della consulenza.

Sotto questo punto di vista, lo smart working in questo senso potrebbe abbattere questo limite (che deve comunque essere rimosso a livello culturale), di modo che sia possibile lavorare senza il timore di essere misurati/e per il tempo che si passa alla scrivania o per quante ore di permesso si prendono in un mese, affinché si possa essere anche più sereni/e nelle proprie scelte di carriera.

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