Voglio diventare... Conversation Designer e Knowledge Engineer

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  • 2024-03-05 - 6 minuti
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Un settore in fortissima crescita è quello del Conversation AI: unire la linguistica con l’intelligenza artificiale è una sfida costante, che l’ospite di oggi ha abbracciato fin da subito, scrivendo un libro (spoiler: pazzesco) sull’argomento… Conosciamo Chiara Martino, Conversation Designer e Knowledge Engineer e co-founder di Women in Voice Italy.

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Sono laureata in lingue, mi sono specializzata in linguistica computazionale e lavoro alla creazione di chatbot e assistenti vocali dal 2017: in Italia nascevano le prime soluzioni commerciali, quindi ho avuto la fortuna di trovarmi in un ruolo tutto da costruire.

Oggi sono ancora Conversation Designer e Knowledge Engineer, ma sono anche co-fondatrice della community Women in Voice Italy e condivido la mia esperienza scrivendo articoli, insegnando, partecipando a eventi e interviste e tramite il libro che ho appena pubblicato, “Intelligenza Artificiale Conversazionale”, un manuale completo che spiega quali sono processi, strumenti e professioni per realizzare interfacce conversazionali.

In cosa consistono i ruoli di Conversation Designer e Knowledge Engineer?

Conversation Designer e Knowledge Engineer si occupano della progettazione e dell’implementazione di interfacce conversazionali, cioè di chatbot e assistenti vocali.

In base alle aziende, i due ruoli possono fondersi in uno solo o essere chiamati in modi diversi.

Un/una Conversation Designer si occupa di progettazione l’intera esperienza conversazionale mettendo insieme esigenze degli utenti e del business, quindi si occupa della discovery iniziale, dell’ideazione della personalità del bot, della progettazione dei flussi conversazionali (cioè degli alberi decisionali che mappano il modo in cui le conversazioni dovranno fluire) e della scrittura dei copy dei dialoghi.

Un/una Knowledge Engineer si occupa delle fasi successive, della realizzazione di quanto progettato, e quindi addestra il motore NLU, cioè la componente fa sì che il bot comprenda l’utente, implementa i flussi conversazionali (spesso tramite piattaforme no-code o low- code) e analizza le conversazioni reali una volta che il bot è andato live, per valutare le performance e individuare possibili attività di miglioramento.

Inoltre, nei progetti recenti in cui si usa l’IA generativa, queste due figure si occupano anche di scrivere i prompt necessari a sfruttare al meglio gli LLM e a redigere la Knowledge Base alla quale gli LLM attingono nel produrre le risposte.

In base ai progetti, ci si può trovare a svolgere tutte queste attività in totale autonomia oppure ci si può trovare a portarne avanti solo alcune, all’interno di un team multidisciplinare in cui ognuno si occupa solo di un pezzettino del progetto.

Qual è la soft skill più importante che devono possedere un Conversation Designer e un Knowledge Engineer?

La Conversational AI è un settore di intersezione tra la tecnologia e la capacità unicamente umana di conversare.

Di conseguenza anche le soft skill richieste devono unire mondi diversi: direi che le più importanti sono il pensiero logico-analitico, essenziale per comprendere il funzionamento della tecnologia, e l’empatia, essenziale per comprendere i comportamenti e i bisogni degli utenti.

In entrambi i ruoli è importante riuscire a coniugare due modi di ragionare che per loro natura sono molto diversi, quello delle macchine e quello delle persone, senza perdere di vista né potenzialità e limiti intrinsechi della tecnologia, né necessità e limiti cognitivi degli utenti.

La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.

Forse l’errore più grande è stato tendere a sottovalutare le mie capacità e le mie conoscenze linguistiche, soprattutto all’inizio della mia carriera. Trovandomi in un ambiente molto “dev- centrico”, mi sentivo a disagio e in difetto, finché non ho capito che proprio il mio background diverso poteva portare valore e far vedere le cose da una prospettiva diversa.

Soprattutto nella Conversational AI, che ruota tutta intorno agli scambi linguistici! Così ho iniziato a esprimere di più la mia opinione e a capire che il mio percorso formativo vale esattamente quanto tutti gli altri.

Dopotutto, la tecnologia sviluppata dai programmatori deve imitare e rispecchiare la realtà, e se quella realtà è linguistica e conversazionale, è essenziale che nel team ci siano professionisti in grado di comprenderla e difenderla.

Oggi apprezzo la multidisciplinarità come risorsa davvero preziosa e cerco sempre di confrontarmi con persone che hanno un percorso diverso dal mio: è ciò che arricchisce e fa crescere di più.

Come fare per diventare Conversation Designer e Knowledge Engineer?

Purtroppo non c’è un percorso diretto e uniforme.

A livello di formazione universitaria molte persone che approdano a questi ruoli vengono da lingue, lettere, comunicazione, psicologia, ma anche matematica, e magari nel loro corso di laurea hanno seguito corsi come linguistica computazionale, come nel mio caso… o magari vengono dai nuovi corsi di laurea che uniscono linguistica e informatica, come Digital Humanties o Informatica Umanistica.

Per lo più ci si forma sul campo, però sicuramente è utile formarsi anche tramite libri, blog e corsi, ormai ce ne sono tanti.

Tuttavia, molti di questi sono focalizzati su un solo ruolo (es. Conversation Design) o su una sola tecnologia (es. NLU, voice, ecc…).

Ho scritto il mio libro proprio per colmare questo vuoto: volevo creare una risorsa davvero completa che prendesse in esame tutto il settore, il processo end-to-end e tutti i ruoli e le competenze necessari per creare un progetto conversazionale di successo.

Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?

Il mio obiettivo è spostarmi verso un ruolo più gestionale, come quello del Project Manager, ma rimanere nell’ambito dell’AI. Mi piace l’idea di poter coordinare le tante figure coinvolte in un progetto conversazionale, di poter ottimizzare i processi e guidare il team verso un obiettivo comune.

Sarà sicuramente una sfida, ma ho già iniziato a studiare per questo e sono molto fiduciosa.

Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, secondo te, come fare per superarlo?

Sì lo conosco bene, perché è proprio per combatterlo che è nata la community Women in Voice Italy, di cui sono co-fondatrice: siamo partite dalla consapevolezza che, almeno fino a qualche anno fa, la maggior parte degli speaker e delle persone di rilievo nell’ambito della Voice Technology e della Conversational AI erano uomini, nonostante ci fossero già tante donne che lavoravano nel settore.

Quindi il principale obiettivo della community è stato proprio dare la possibilità a queste donne di emergere e far vedere il proprio valore.

Non basta ci siano tante donne in un settore per renderlo equo.

Le donne che ci lavorano dovrebbero poter ricoprire qualsiasi posizione lavorativa (sia quelle umanistiche, per esempio, che quelle più tecniche), ma dovrebbero anche ricoprire ruoli manageriali e intervenire negli eventi come speaker esattamente come e quanto gli uomini.

Mi rattrista vedere ancora panel solo maschili… non perché ce l’abbia con gli uomini, chiariamoci, ma perché magari c’è un ampio sottobosco di donne competenti che per timidezza o sfiducia in sé stesse si tirano indietro.

Anche perché poi c’è sempre il pregiudizio che se ti metti troppo in mostra sei vanesia: e quindi si confonde il voler condividere la propria esperienza, con l’essere presuntuose o vanitose. Mentre quest’equazione non è sempre così diretta con gli uomini.

Quindi, per concludere, quel che mi sento di dire alle altre donne è: buttatevi sempre! Nelle piccole e nelle grandi situazioni. Nel partecipare agli eventi, nel chiedere un aumento, nell’esprimere la vostra opinione a una riunione. Lo so, è difficile, ma ne vale la pena.

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