Voglio diventare un... Chief AI Officer

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  • 2023-03-21 - 5 minuti
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Vengo da un percorso matematico, studiando ingegneria tra Italia e Francia. Sono sempre stato affascinato da formule e programmazione e nel tempo ho cercato di capire cosa fare da grande, passando dalla fluidodinamica al rischio bancario. Ma erano tutti ambiti che non mi appassionavano e per caso ho scoperto un’applicazione incredibile: il linguaggio naturale. È da anni che faccio ricerca e sviluppo in questo campo rimanendone sempre più affascinato e ho co-fondato indigo.ai, una startup che combina strumenti di linguaggio e tecnologia per creare chatbot.

Ad oggi ne dirigo il team “AI”.

In cosa consiste il ruolo di Chief AI Officer?

È un po’ come se fosse il CTO dell’intelligenza artificiale: gestisco la parte di ricerca su modelli di frontiera, lo sviluppo di alcune features da inserire nella nostra piattaforma e la parte infrastrutturale per servire i vari modelli addestrati. Ho un team che si divide tra AI Researchers e Machine Learning Engineers, i primi più dedicati alla parte di prototipizzazione e pubblicazione accademica e i secondi allo sviluppo e alla messa in produzione.

Qual è la soft skill più importante che deve possedere una Chief AI Officer?

Il ruolo richiede diverse soft skills, ma una delle più importanti è la capacità di comunicare in modo chiaro ed efficace con i membri del team e con gli stakeholder dell’azienda, come un po’ tutti i ruoli definiti di “prima linea”.

La comunicazione è essenziale per garantire che tutti comprendano il lavoro svolto dal team e per identificare le esigenze degli utenti e dei clienti. Deve anche essere in grado di tradurre i risultati della ricerca in opportunità di business e di spiegare il valore dell’intelligenza artificiale ai non addetti ai lavori.

La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.

Nei primi anni di startup, erano senza dubbio più i fallimenti che i successi. Dove mi rendevo conto di sbagliare di più era la gestione del team, in cui non riuscivo a trovare l’equilibrio tra “fare” e “delegare” e a posteriori mi rendo conto di aver perso tantissimo tempo, sia mio che dei colleghi. Però alla fine probabilmente non era tempo perso, ma ben utilizzato nell’imparare a organizzare e comunicare al meglio.

Come fare per diventare una Chief AI Officer?

Per diventare un Chief AI Officer, di solito è necessario avere una formazione in ambito tecnico, come la matematica, l’informatica, l’ingegneria o le scienze cognitive. È importante poi avere una forte esperienza pratica nel campo dell’intelligenza artificiale, che può essere acquisita lavorando in aziende che si occupano di AI, in laboratori di ricerca, in start-up o in università.

È importantissimo essere curiosi e rimanere costantemente aggiornati sulle ultime tendenze e innovazioni nel campo dell’intelligenza artificiale perché è un mondo che va a mille all’ora e basta girarsi un attimo per perdersi un intero filone di ricerca o innovazione!

Come tecnologie, serve essere forti con Python, con strumenti di ML come https://pytorch.org/, con nozioni generali su databases/Big Data e infine un po’ di Cloud Computing e DevOps.

Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?

Quello che faccio giorno per giorno mi piace molto e non vorrei cambiarlo nei prossimi anni! Vorrei invece cambiare un po’ di attività quotidiane passando sempre più alla gestione e alla comunicazione, cercando però di mantenere le mani sul codice, visto che la programmazione rimane una delle mie passioni.

Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, come fare per superarlo?

Sì, conosco bene il tema ed è palese come le donne siano sotto rappresentate in questi campi, sia in termini di iscrizioni universitarie che di occupazione.

Mi vien da pensare che il motivo principale siano gli stereotipi di genere, ma probabilmente incidono anche altri fattori come la mancanza di modelli femminili di riferimento, mancanza di accesso alle opportunità di formazione e, senza dubbio, anche un po’ di discriminazione sessuale.

Io mi ritrovo a lottare contro il gender gap ogni volta che apro una job position: parto con l’intenzione di evitare a tutti i costi di assumere maschi bianchi caucasici ma poi mi ritrovo il 99,9% di candidature di maschi bianchi caucasici.

La soluzione più triviale è cercare di risolvere il problema alla base, con le scuole e le università che devono garantire l’accesso equo alle opportunità di formazione e sensibilizzare gli studenti e gli insegnanti sulla diversità di genere e sull’importanza dell’uguaglianza di genere.

Ma non basta scaricare la responsabilità sulle istituzioni ed ognuno nel suo piccolo può iniziare a cambiare le cose, anche in azienda.

È necessario un impegno collettivo ed è essenziale che tutti ne parlino il più possibile, senza paura di sentirsi una goccia nell’oceano.

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