Voglio diventare una... Cloud Engineer

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  • 2022-10-18 - 7 minuti
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Ingegnere e divulgatrice con la testa fra le nuvole: no, non in quel senso! Giorgia Fiscaletti lavora come Cloud Engineer per Mia-Platform ed è una persona estremamente estrosa: nel corso della sua professione ha acquisito tante lezioni, tra cui la necessità e virtù di essere curiosi per stare al passo con l’evoluzione delle tecnologie.

Leggi la sua intervista e scopri come diventare Cloud Engineer!

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Non ho sempre voluto fare l’ingegnere.

A 17 anni desideravo diventare un’artista digitale.

La mia strada sembrava spianata, avevo fatto da apprendista nello studio di un pittore ed ero riuscita ad entrare in una prestigiosa scuola d’arte.

Ma se c’è una cosa in cui sono davvero specializzata è stravolgere i miei piani per avventurarmi in sentieri tortuosi. Utilizzare strumenti digitali non mi bastava, volevo capire cosa c’era dietro. Così, si potrebbe dire quasi per sbaglio, sono diventata ingegnere informatico, con l’unica promessa di continuare ad essere creativa.

Dopo aver esplorato sviluppo software e accelerazione hardware, sono approdata nell’universo cloud e me ne sono innamorata.

In cosa consiste il ruolo di Cloud Engineer?

Essendo un mondo che evolve ad una velocità spropositata - un po’ come le nuvole vere, in fondo - noi cloud engineers dobbiamo essere innanzitutto ricercatori.

Bisogna stare al passo, aggiornarsi costantemente sulle nuove tecnologie, ed essere proattivi per permettere alla propria infrastruttura di evolversi al meglio.

Evoluzioni che possono includere, ad esempio, l’integrazione di nuovi tool, la modernizzazione della piattaforma, l’automazione di processi, e molto altro.

All’occorrenza siamo anche developers, quando si deve passare all’implementazione di funzionalità e ottimizzazioni, e sistemisti, per intervenire all’occorrenza sull’infrastruttura con manutenzioni e aggiornamenti. Le cose da fare non mancano, non ci si annoia mai.

Qual è la soft skill più importante che deve possedere una Cloud Engineer?

Per quanto all’apparenza non sembri, è un lavoro davvero creativo.

C’è un intero universo di possibilità da esplorare per plasmare la propria infrastruttura cloud, e alle volte ci vuole anche un pizzico di fantasia per pensare a soluzioni non standard e valutare opzioni un po’ fuori dagli schemi.

Oltre a questo “problem solving creativo”, a mio avviso è fondamentale un’attenzione particolare verso la pianificazione e l’organizzazione dei vari progetti.

I prodotti del nostro lavoro devono essere funzionali e scalabili, di modo che possano evolvere con meno intoppi possibile e crescere insieme all’infrastruttura.

A tal proposito, bisogna essere lungimiranti e cercare di avere un occhio al futuro sin dall’analisi, per impostare il progetto di conseguenza.

La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.

Lavoro nel settore da poco più di un anno, quindi per fortuna posso dire di non essermi ancora imbattuta in fallimenti significativi. Ma ne ho fatti di errori in questi mesi, e continuano a far parte della mia quotidianità.

Non c’è nulla di male nello sbagliare, nessuno di noi è nato imparato.

Bisogna solo sapersi prendere le proprie responsabilità e sfruttare gli errori come occasioni di crescita, evitando di ripeterli. Tra i più divertenti (col senno di poi), ricordo il giorno in cui ho involontariamente sferrato un attacco DoS alla piattaforma dell’azienda mentre stavo eseguendo degli stress test sul nuovo API gateway. Ce la siamo cavata con qualche istante di downtime, ma da allora ho mille occhi di riguardo in più durante operazioni che potrebbero impattare l’infrastruttura.

Se invece devo pensare ad un fallimento più importante, mi torna in mente la mia tesi di magistrale. Dopo mesi di ricerca e analisi, ho realizzato di aver fatto un enorme buco nell’acqua. La soluzione non stava in piedi. Ho dovuto buttare praticamente tutto, e mi rimaneva meno di metà del tempo per studiare un’alternativa.

Dopo un primo momento di sconforto ho recuperato le redini della situazione e mi sono rimessa a lavoro, riuscendo infine a portare a casa un buon risultato nei tempi prestabiliti. Un fallimento è un’occasione per ricominciare, basta non perdersi d’animo e dare il meglio di sé (anche se non è sempre così semplice).

Come fare per diventare una Cloud Engineer?

Non c’è un percorso specifico, io per esempio mi stavo specializzando in tutt’altro. Me ne sono interessata durante il mio semestre negli Stati Uniti, dove ho avuto occasione di frequentare un corso di cloud computing (che ancora mancava nel mio corso di laurea in Italia). In quel periodo ho cominciato a districarmi nei concetti teorici e a sporcarmi le mani con qualche progettino. Ma la strada vera e propria da cloud engineer si potrebbe dire che l’ho imboccata durante la tesi. È stato lì che ho messo davvero in pratica le conoscenze acquisite da lezioni e ricerca, addentrandomi per la prima volta in un vero cluster Kubernetes.

Sicuramente è d’aiuto avere alle spalle uno studio tecnico-scientifico (preferibilmente informatico o ingegneristico, dalla mia esperienza), in quanto le infrastrutture cloud sono molto complesse e richiedono una conoscenza a 360° per essere comprese a fondo.

Dopodiché, i tool principali (orchestrazione, monitoraggio, containerizzazione, eccetera) sono generalmente ben documentati, e offrono spesso tutorial per chi è alle prime armi.

Insomma, secondo me un background tecnico solido, interesse per il mondo cloud, e un po’ di sana voglia di imparare, sono più che sufficienti per diventare cloud engineer.

Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?

Non ho mai amato pianificare troppo il mio futuro. Mi conosco bene, e so che i miei piani sono fatti principalmente per essere mandati all’aria.

Sono curiosa e sempre alla ricerca di nuovi stimoli, mi piace scoprire nuovi mondi dell’universo IT, cimentarmi in nuove sfide e inoltrarmi in territori inesplorati.

Per ora il cloud sta tenendo viva la fiamma del mio interesse, è un ambito talmente vasto che non mi ha ancora dato modo di annoiarmi. Non ho difficoltà ad immaginarmi ancora a navigare queste acque tra qualche anno!

Di recente ho anche sviluppato uno spiccato entusiasmo per la divulgazione. Ho già partecipato come speaker a qualche evento, dove ho avuto modo di presentare alcuni frutti del mio lavoro, confrontarmi con altri esperti, e conoscere persone fantastiche.

È un’attività che mi dà tante soddisfazioni, mi fa sentire piena, e soprattutto mi diverte! Ho già altre conferenze in programma nei prossimi mesi e sono in fibrillazione. È a tutti gli effetti un secondo lavoro, ma vorrei continuare a portarlo avanti in parallelo alla mia attività principale. Staremo a vedere!

Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, come fare per superarlo?

È una questione che ho molto a cuore, e che purtroppo è ancora ben lontana dall’essere superata. Io personalmente ne sento il peso dal primo giorno di università, e continuo tutt’ora a percepirne le conseguenze.

Secondo me bisognerebbe intervenire già in tenera età, evitando di limitare ai bambini la scelta di attività in base al genere.

Per fare un esempio, ancora oggi mi capita di vedere bambine rassegnarsi davanti a un gioco dicendo “Tanto non ci riesco, è da maschio”, e non c’è nulla di più sbagliato.

Nessun bambino dovrebbe vivere con la convinzione di non poter fare qualcosa, o non poter raggiungere un determinato obiettivo (sempre nei limiti del proprio potenziale), per ragioni che trascendono dall’interesse e dalle passioni.

Sono preconcetti che si instaurano nel cervello e accompagnano l’individuo per tutta la vita, influenzandone inconsciamente le scelte in fase di crescita.

A tal proposito è fondamentale anche l’orientamento nelle scuole, per stimolare l’interesse nelle materie STEM anche per chi ha una curiosità potenziale che rimarrebbe altrimenti inesplorata.

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