Voglio diventare una... Data Engineer
Lei l’informatica ce l’ha nel sangue: Caterina lavora in questo settore da diverso tempo grazie ad un super percorso alle spalle, che ci racconta in questa intervista. Da dove nasce la sua passione? In casa!
Oggi parliamo di cosa vuol dire voler diventare una Data Engineer.
Descriviti in 100 parole
Sono Caterina, ho 27 anni e sono nata a Pisa dove ho frequentato sia le superiori che l’Università.
Sono figlia di due programmatori che mi hanno trasmesso la loro passione per il mondo dell’informatica.
Nel 2017 ho conseguito la laurea triennale in Informatica e nel 2019 ho conseguito la laurea magistrale in Data Science & Business Informatics.
Sono sposata con Daniele e attualmente ho un inquilino dentro di me, Andrea, che nascerà a Settembre. Ho due coniglietti nani Nat e Tony che sono le pesti di casa.
In cosa consiste il ruolo di Data Engineer?
Il Data Engineer ha il compito di preparare i dati, pulirli, integrarli, e aggregarli secondo i requisiti progettuali, utilizzando varie piattaforme e linguaggi.
La struttura dei dati che un Data Engineer prepara, deve chiaramente essere solida ed efficiente, in modo da ottimizzare il processo di utilizzo dei dati stessi.
L’attività tipica che svolgo è quella di creazione di ETL (aka Extract Transform and Load) in particolare usando SQL, ma è capitato di dover utilizzare anche Python per esempio, oppure framework come DataPrep.
Inoltre nell’azienda per cui lavoro adesso mi occupo anche della Data Visualization utilizzando Looker, DataStudio, PowerBI e altri strumenti.
A livello operativo è un lavoro che può essere svolto sia in solitaria che in team; chiaramente lo svolgimento in team è sempre più costruttivo perché confrontarsi con gli altri è sempre un bene dal punto della crescita personale e professionale.
Qual è la soft skill più importante che deve possedere una Data Engineer?
A mio parere, la soft skill più importante che si deve possedere per fare bene questo lavoro è la proattività, unita ad una buona dose di comprensione dei requisiti: una volta capito cosa vuole il cliente, si studia una soluzione ad hoc per soddisfare le sue esigenze.
Essendo anche proattivi però, riusciamo a fare un passo in più e ad analizzare attivamente la situazione che abbiamo davanti. Possiamo quindi estrarre nuove informazioni dai dati, a cui magari durante la definizione del progetto non si era pensato, ma che sono molto preziose per il cliente.
In questo modo, oltre a fornirgli ciò di cui aveva bisogno riusciamo a dargli un valore aggiunto che nel mondo di oggi, basato inevitabilmente su una miriade di dati raccolti ovunque, può rappresentare un vantaggio dal punto di vista strategico e quindi anche economico.
La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.
Non ho un fallimento “più grande” da raccontare, ma ci sono stati diversi ostacoli durante il mio percorso. Sicuramente i primi che ho incontrato sono stati durante l’università quando non riuscivo a passare degli esami, oppure quando a volte mi sentivo inferiore ad altri perché magari c’era chi arrivava alla soluzione prima di me, e allora cadevo un po’ “in depressione”.
Inoltre nel 2017 dopo la laurea triennale, ho iniziato a lavorare a tempo pieno mentre davo gli esami per la laurea magistrale: è stato un periodo duro, durante il quale sono anche andata a convivere con quello che poi sarebbe diventato mio marito.
Passavo le pause pranzo a studiare, le serate a studiare, i fine settimana a studiare, e a volte mi chiedevo perché lo stavo facendo, in fondo avevo già un lavoro, ma dentro di me non ero completamente soddisfatta.
Giorno dopo giorno, esame dopo esame, in due anni mi sono ritrovata a discutere la tesi e tutti i miei sforzi sono stati ripagati. I fallimenti o comunque gli ostacoli fanno parte del nostro percorso e sono importantissimi, perché sono quelli che ci permettono di migliorarci sempre di più e crescere.
Come fare per diventare una Data Engineer?
Questa è una domanda difficile… non c’è un percorso “lineare” e designato per svolgere questo ruolo. Io ho iniziato facendo la programmatrice e interessandomi ai progetti aziendali di Business Intelligence.
Poi con la laurea magistrale ho cambiato lavoro ricoprendo il ruolo di consulente di BI. Infine adesso che sono alla mia terza esperienza lavorativa, ricopro la posizione di Data Engineer.
Ho conseguito la certificazione di Google Data Engineer che è sicuramente un titolo che aiuta a trovare lavoro per questa posizione, ma non basta.
Occorre essere innanzitutto appassionati del mondo dati, avere forti competenze analitiche e conoscere bene i linguaggi SQL e Python.
Inoltre è necessaria tanta voglia di studiare perché è un lavoro dove non si smette mai di imparare, ogni giorno c’è una novità e dobbiamo restare sempre al passo per essere competitivi sul mercato.
Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?
Tra 3 anni mi piacerebbe ricoprire sicuramente sempre un ruolo operativo, magari migliorando le mie capacità di Data Engineer; oppure mi piacerebbe aprirmi al mondo della Data Science.
Quello che sicuramente avrò sempre e comunque tra i miei obiettivi è il migliorarmi e crescere a livello professionale: trovo che sia fondamentale per far avanzare la mia carriera.
Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, come fare per superarlo?
Purtroppo lo conosco: ci sono poche donne che lavorano in questo settore, non è sempre facile entrarci e farsi prendere sul serio.
In molti pensano che non siamo capaci forse, perché siamo poche, ma come si dice: “poche ma buone”.
Sicuramente negli ultimi anni ci sono state tante proposte e azioni concrete per favorire l’inclusione delle donne nel mondo STEM, ma aldilà di tante parole, quando siamo in un posto di lavoro le possibilità di carriera sono davvero le stesse per un uomo e per una donna?…
Inoltre, adesso che sto vivendo una gravidanza mi rendo conto che per una donna non è facile: dovrò lasciare il mio lavoro per 5 mesi (obbligatoriamente) e con uno stipendio ridotto all’80% (per disposizioni di legge).
Durante la mia assenza è inevitabile che ci sarà qualcun altro al mio posto, ma sicuramente quando tornerò sarò considerata e stimata quanto prima perché la maternità è un mio, e nostro, diritto.